“[la magia è] il mezzo per avvicinarsi all’ignoto per vie diverse da quelle della scienza o della religione.”
Max Ernst, 1946
Con il Manifesto del Surrealismo, pubblicato nell’ottobre del 1924, lo scrittore francese André Breton fondava un movimento letterario e artistico destinato a divenire in breve tempo la principale avanguardia dell’epoca. Segnati dagli orrori della prima guerra mondiale, i surrealisti rifiutarono la razionalità, scegliendo di perseguire strade alternative: i sogni, l’irrazionale, l’inconscio, ma anche la magia, la mitologia, l’alchimia e l’occulto. Temi che apparivano in grado di stimolare e liberare l’immaginazione da ogni limite, ispirando opere capaci di portare sollievo all’umanità in un momento di grande turbamento e profondi cambiamenti socio-politici. Per gli artisti che gravitavano nell’orbita del Surrealismo, la magia divenne il lasciapassare per una rinascita culturale e spirituale post-bellica, permettendo di raggiungere l’obiettivo di una rivoluzione totale, non solo materiale, ma anche della mente, che comportava una trasformazione individuale vista come il mezzo con cui cambiare il mondo. Già nel 1913 Sigmund Freud, in Totem e tabù, aveva parlato della magia come onnipotenza del pensiero. Nelle loro opere, i surrealisti si ispirano frequentemente alla simbologia dell’occulto e sostengono il concetto dell’artista come alchimista, mago o visionario, mentre l’universo femminile – furono numerose le artiste che aderirono al movimento surrealista – si esprime nelle figure di dea, strega, incantatrice.
La mostra Le Surréalisme en 1947, tenutasi alla Galerie Maeght di Parigi in quell’anno, era concepita come un’iniziazione surrealista a una visione di un mondo nuovo di valore magico. Nel suo studio su L’arte magica, pubblicato nel 1957, Breton definisce la magia come il potere di rendere visibile l’invisibile e il Surrealismo come la scoperta della magia in contrapposizione con la modernità razionalistica. In tal modo il Surrealismo appare come la più recente espressione di una lunga tradizione di “arte magica”, di cui uno dei maggiori esponenti è il pittore olandese Hieronymus Bosch, che affascina i surrealisti con la sua fantastica iconografia.
La pittura metafisica di Giorgio de Chirico esercita un’influenza notevole sui surrealisti, con le nitide composizioni che esplorano il mistero e l’enigma e danno forma a mondi onirici, suggerendo come la dimensione magica faccia parte anche della realtà quotidiana. Breton sostiene de Chirico, vedendolo come un precursore del Surrealismo; lo definisce un “pittore di genio”, considera le sue prime opere come delle “rivelazioni”, e così facendo lo collega al fascino esercitato dalla magia e dall’occulto sui surrealisti. Tra i dipinti metafisici di de Chirico assume particolare significato Il cervello del bambino (1914), che appartenne alla collezione privata dello stesso Breton; lo scrittore francese descrisse il soggetto dell’opera come un caso di androginia e trasformazione di genere che “non era solo freudiano, ma anche magico”. Per molti surrealisti, l’androginia rappresenta la cancellazione del binomio maschio-femmina e dunque sovverte le gerarchie di potere insite nelle società patriarcali. Il concetto di matrimonio alchemico, sinonimo di un insieme coeso e dunque di uno stato di perfezione, è alla base di un’opera come La vestizione della sposa di Max Ernst, che molto probabilmente vi raffigura la pittrice inglese Leonora Carrington, sua compagna dal 1937 al 1940, come strega e incantatrice.
Con l’inizio della Seconda guerra mondiale e l’occupazione nazista della Francia, molti surrealisti emigrano negli Stati Uniti o in Messico; nella loro produzione di questi anni appaiono misteriosi paesaggi onirici mediante i quali cercano di esprimere le proprie paure e angosce esistenziali. In particolare Max Ernst, che emigra a New York nel 1941, dipinge numerose opere, come L’Europa dopo la pioggia II (1940–42), nelle quali le visioni di un mondo desolato, costellato di rovine, diventano allegorie della violenza della guerra.
Un tema caro ai surrealisti è quello della donna come essere magico e della sovrapposizione tra vita animale, vegetale e umana, da cui nascono opere quali La donna gatto (1951) della Carrington, La fine del mondo (1949) di Leonor Fini, La magia nera (1945) di René Magritte. Molte artiste e scrittrici si associano al Surrealismo, in particolare durante gli anni Trenta. Le loro interpretazioni della donna sicura di sé e dedita alla ricerca, oppure maga e non più musa ispiratrice, destabilizzano le tipologie femminili concepite originariamente da una cerchia esclusivamente maschile. Le artiste riconoscono nelle possibilità offerte dall’interesse del movimento per il mito e l’occulto uno strumento per promuovere obiettivi di emancipazione femminile; tra queste spicca Leonora Carrington, il cui interesse per stregoneria e androginia si esprime in opere come I piaceri di Dagoberto (1945).
A Surrealismo e magia. La modernità incantata, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dedica dal 9 aprile al 26 settembre 2022 una rassegna comprendente circa sessanta opere di oltre venti artisti, provenienti da prestigiosi musei e collezioni private internazionali: si tratta del primo evento espositivo interamente dedicato ad analizzare l’interesse dei surrealisti per la magia, l’alchimia e l’occulto. Da un punto di vista cronologico, l’esposizione comprende un arco di tempo che spazia dalla pittura metafisica di Giorgio de Chirico, datata intorno al 1915, fino al simbolismo occulto delle ultime opere di Leonora Carrington, realizzate negli anni Settanta.
Organizzata dalla Collezione Peggy Guggenheim in collaborazione con il Museum Barberini di Potsdam, la mostra si trasferirà nella città tedesca dal 2 ottobre 2022 al 16 gennaio 2023. Cuore dell’esposizione veneziana è il ricco patrimonio di opere surrealiste della Collezione Peggy Guggenheim, molte delle quali pongono l’accento sul dialogo tra i surrealisti e la tradizione dell’occulto. Già alla fine degli anni Trenta Peggy Guggenheim era considerata una delle collezioniste più vivaci e attive del Surrealismo, ed è in quel periodo che acquisisce familiarità con il movimento e diventa intima amica di Ernst e Breton; quest’ultimo nel 1929 aveva pubblicato il Secondo Manifesto del Surrealismo in cui definisce il movimento come “la discesa vertiginosa in noi stessi, l’illuminazione sistematica dei luoghi nascosti e l’oscuramento progressivo degli altri luoghi”.